COMUNICAZIONE AI SENSI DIR. 2009/136/CE: QUESTO SITO UTILIZZA COOKIES TECNICI ANCHE DI TERZE PARTI.
L'uso del sito costituisce accettazione implicita  dell'uso dei cookies. Per revocare il consenso è sufficiente cancellare i cookies di dominio dal browser.

Le prime esperienze
Apri
Categorie
Contatti
Contenuti
Newsfeeds
Link web

Già verso la fine del Medioevo venne scoperto che riscaldando il cloruro di sodio con l'argento, il sale sprigionava cloro in forma gassosa, che reagendo con l'argento otteneva il cloruro d'argento, bianco al buio, con viraggio al violetto scuro in determinate condizioni, ma queste non vennero ancora ben identificate. Nel primo 1600 Angelo Sala scoprì che il viraggio era determinato dal sole.

sala

Altre sostanze vennero identificate come fotosensibili, ad esempio il bromuro di argento lo ioduro d'argento e l'asfalto o "bitume di Giudea", ma non venne ben chiarito come utilizzare il fenomeno, sebbene la cosa più evidente agli studiosi del tempo fu di poter sfruttare il fenomeno per riprodurre “in qualche modo” immagini su superfici utilizzando la luce.

 

Nei primi anni del 1700 il fenomeno venne utilizzato per riprodurre le prime immagini tramite processi fotochimici rudimentali, che facevano ottenere dei profili, che vennero chiamati silhouettes (termine poi diventato universale), in onore burlesco ad Étienne de Silhouette, ministro delle finanze francese. Il metodo, ideato dal chimico tedesco Johann Heinrich Schulze, consisteva nell’attivare piastre metalliche o carta col cloruro di argento e di esporlo alla luce mascherandone una parte tramite ombreggiatura o ponendo su essi un profilo ritagliato, le parti illuminate si oscuravano, le parti oscurate no, creando il profilo. La debolezza era la stabilità, le immagini che si formavano rimanevano solo fintanto che si manteneva il profilo protetto dalla luce, poi subivano anch’esse la trasformazione essendo ancora fotosensibili.
Se vogliamo, ben più attuale invece è il termine “fotografia”, coniato da Schulze dal connubio del processo con cui venivano ottenute le immagini, la “fotochimica” con la “grafia”.

La camara obscura

Un balzo notevole venne effettuato con l’associazione dei fenomeni della fotosensibilità e la camera oscura (o camera obscura), apparecchio descritto già da Leonardo da Vinci nel 1515 nel suo Codice Atlantico, e che fino ad allora era più che altro un assemblato a supporto dei pittori per disegnare paesaggi ed oggetti.


camera-obscura-pittori

Camara obscura

Un pittore utilizza la camera obscura per un ritratto 
 

In pratica venivano realizzate “scatole” di varie dimensioni in cui un lato possedeva un forellino (chiamato foro stenopeico: dal greco stenòs, stretto, e opé, foro) che proiettava invertite le immagini su una superficie, gli artisti le utilizzavano per disegnare direttamente su esse riproducendo la realtà proiettata.

Un altro passo avanti venne effettuato dalla necessità di focalizzare meglio le immagini derivanti dal foro stenopeico, che oltre ad essere invertite erano molto sfocate.

Nel 1550 Girolamo Cardano aggiunge alla struttura una lente convessa, che migliorava di molto l’immagine, ed un ulteriore passo avanti venne fatto con l’intuizione dell’aggiunta di un diaframma da Daniele Barbaro nel 1568 che migliorava la profondità di campo e riduceva le aberrazioni cromatiche, ma finalmente fu nel 1591 che 

 giovanni-battista-porta
La camera obscura di Giovan Battista della Porta

Giovanni Battista della Porta ideò un apparecchio con lente concava e convessa per rendere le immagini più nitide e meno curve, con un principio che troviamo tuttora nei moderni obiettivi. Le immagini venivano proiettate su vetro smerigliato, un concetto che ancora oggi viene utilizzato in molte situazioni ed è stato utilizzato fino al passato recente nelle fotocamere a pozzetto.

 

 

 

 

 La messa a fuoco

 

camaraoscura-schott

Camera obscura di Kaspar Schott

Si nota la parte scorrevole

Fu Kaspar Schott nel 1657 che fece fare un ulteriore balzo in avanti alla camera oscura, costruendone una composta da due cassette scorrevoli, una dentro l’altra, che consentivano variazioni della distanza fra lente e piano d’immagine, e poter finalmente “mettere a fuoco”.

Attorno al 1814 il francese Joseph Nicéphore Niepce (un borghese e militante nelle truppe rivoluzionarie francesi) dapprima comprese che si poteva impressionare una superficie fotosensibile con la luce canalizzata nella camera oscura, al posto delle tecniche grafiche meccaniche fino ad allora utilizzate, tramite pietre o metalli incisi.
L’associazione fra camera oscura e processi chimici fotografici iniziavano quindi a delineare una strada con enormi potenzialità, ma uno dei problemi chiave era sempre quello del fissaggio, le immagini prodotte non avevano vita alla luce.

Un passo avanti nella stabilizzazione delle immagini venne fatto dall'inglese Thomas Wedgwood (1771-1805) che assieme all'amico Sir Humphrey Davy, riuscì ad ottenere delle immagini impressionate su pelle bianca sensibilizzata col nitrato d'argento. Ma sebbene la durata dell’immagine alla luce era più lunga di quelle ottenute coi passati metodi, e si potevano osservare le deboli immagini prodotte anche alla luce, queste comunque dopo breve tempo svanivano.

 

L'Eliografia e la Calotipia

niepceNiepce riuscì nell’intento di far perdurare le immagini prodotte ricoprendo una lastra di rame argentato con un sottile strato di bitume di Giudea (un composto costituito da bitume, standolio, argilla ed essenza di trementina, già usato nelle tecniche di incisione) e la collocava al fondo di una camera oscura, di fronte a una tavola disegnata o dipinta. Dopo circa una giornata, le parti della lastra sensibilizzata "impressionate" dalle parti più chiare dell’immagine diventavano bianche, le altre rimanevano nere. L’azione “fissativa” consisteva nell’immergere la lastra in un bagno di essenza di lavanda, il bitume non impressionato si scioglieva e quello reso bianco dalla luce rimaneva tale. E’ chiaro che chiari e scuri erano invertiti … Niepce chiamò la lastra prodotta “negativo” e il procedimento da lui inventato eliografia.

Per ottenere l’immagine positiva, la lastra negativa veniva trattata con un acido, che corrodeva le parti non coperte da bitume e lasciava intatte quelle impressionate coperte da bitume bianco, che veniva rimosso meccanicamente, ottenendo una lastra tipografica col disegno negativo in rilievo, pronta per la riproduzione tipografica.

Ma fu sempre l’associazione camera oscura, processi fotografici e sviluppo chimico della fotografia a interessare Niepce, ben più della litografia, e cominciò a usare la camera oscura per ritrarre immagini dal vivo. Il 5 maggio 1816 così scriveva al fratello Claude: "Ho messo il mio apparecchio sulla finestra aperta della stanza dove lavoro, dirigendolo verso la piccionaia. Ho fatto l'esperimento nel mio solito modo e ho ottenuto sulla carta bianca quella parte della piccionaia che si vede dalla finestra ed una debole immagine anche di questa, che era meno illuminata". Ventitrè giorni dopo, il 28 maggio, applica all'obiettivo un rudimentale diaframma che renderà più nitida l'immagine.

 

 Louis Daguerre 2
Louis Daguerre

Sebbene di famiglia benestante, i continui studi e gli esperimenti gli avevano fatto dissipare gran parte delle sue sostanze, e sebbene si rendesse conto di avere in mano una idea che poteva portare a una scoperta di importanza rilevante aveva la necessità di associarsi con altri, sia per accelerare la conclusione delle ricerche, sia per condividerne il peso economico.

Inizia quindi la collaborazione con Daguerre, un pittore e scenografo anch’egli francese, conosciuto nel 1827 durante un viaggio a Parigi e nel 1829 fonda con lo stesso un'associazione per il perfezionamento dei materiali fotosensibili.

A questo punto la storia diventa controversa, perché per molti, Daguerre, che non aveva di fatto le competenze derivanti dagli studi fino a quel punto condotti da Niepce, si servì di fatto dello stesso e si impossessò dei meriti delle future importanti evoluzioni. Niepce morì nel 1833 senza il riconoscimento dell'importanza delle sue ricerche.

 

 

 

 

 calotipia scopa talbot
Calotipia - Immagine di una scopa effettuata da Talbot 

 

Sul fronte inglese, William Fox Talbot (1801 –1877), che anche aveva condotto esperimenti di impressione forografica di carte sensibilizzate con una tecnica da lui chiamata shadowgraphy, attraverso collaborazioni con John Herschel (astronomo, matematico e chimico inglese, 1792-1871) apprese che l'immagine poteva essere stabilizzata (quindi non più ricettiva alla luce) lavando il foglio con del tiosolfato di sodio (o iposolfito di sodio). Questa procedura fu chiamata fissaggio proprio da Herschel.

 

 

 

 

La prima fotografia della storia è datata 1826 (o 1827) ed è stata realizzata da Joseph Nicéphore Niépce: si tratta della ripresa di un paesaggio (Veduta dalla finestra a Le Gras) che impressionò una lastra dopo un’esposizione di otto ore.

 

 vue-fenetre-domaine-Gras
Vue fenetre du domaine Gras 1826