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Colore e diffusione della fotografia
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Nel 1861 lo scozzese James Clerk Maxwell(1831 – 1879) effettua la prima immagine a colori, sovrapponendo in tre distinte foto i filtri rosso, verde e blu (in pratica l’RGB) per mostrare il tessuto del kilt.  


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James Clerk Maxwell

Tessuto del Kilt (1861) 
La prima fotografia a colori con unico scatto verrà effettuata circa dieci anni dopo con il procedimento della sintesi sottrattiva tricromatico, brevettato nel 1868 dal fotografo francese Louis Ducos du Hauron (1837 – 1920).
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Louis Ducos du Hauron

Prime foto a colori (1877) 

Nel 1869 l’ottico tedesco Ernst Leitz rileva la Optisches Institut di Carl Kellner, creando la LEICA (Lei(tz)Ca(mera)).

In quel periodo, la fotografia, da cosa per pochi, stava diventando un fenomeno di massa, e vennero alla luce marchi destinati a diventare leader di settore del mercato, quali Konica nel 1873 (Giappone), Ilford nel 1879 (UK), Voigtländer nel primo 1840 e Agfa nel 1867 (entrambe Germania).

Un importante elemento di svolta dei supporti sensibili fu dato dal francese Richard Leach Maddox (1816 – 1902) usando il bromuro di cadmio e il nitrato d’argento come elemento fotosensibile. La scoperta era molto importante perché al contrario dei metodi seguiti fino a questo momento, le lastre così prodotte permisero un trasporto più agevole perché non necessitavano più della preparazione prima dell'esposizione. In Italia la Cappelli di Milano fu un importante marchio di produzione di lastre fotografiche e carte sensibili prodotte con questo metodo (1885).

 

Il passo successivo fu l’utilizzo della carta come mezzo fotosensibile, che consentiva già di introdurre la fotografia nel mercato di massa: nel 1888 esce infatti la Kodak N.1, un apparecchio portatile che aveva già 100 pose precaricate ed era venduta a un prezzo popolare (25 dollari), con lo slogan commerciale "Voi premete il bottone, noi facciamo il resto". 

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Kodak N.1

 

I primi negativi in film flessibile sono del 1889, in nitrato di cellulosa, che però era deteriorabile nel tempo liberando ossidi e gas acidi, e poiché chimicamente simile al fulmicotone era anche altamente infiammabile, per cui richiedeva molta attenzione per lo stoccaggio.

Di assoluta rilevanza scientifica, scoperta per caso nel 1898 dal fotografo dilettante Secondo Pia (1855-1941), fu la natura di “negativo naturale” della Sacra Sindone di Torino, che divenne di fatto un emblema di culto religioso in tutto il mondo.

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Secondo Pia

Sacra Sindone - Torino (1898) 

Nonostante questi aspetti, le pellicole in nitrato sono state un importante scoperta tecnologica, perché hanno consentito lo sviluppo di pellicole in rotoli, i cosiddetti “rullini”, film flessibili 35 mm di larghezza, inizialmente pensati per il cinema ma che già nella metà degli anni ‘20, divennero un elemento fondamentale per il mercato fotografico.

Verso la fine del 1920 si diffusero le pellicole in rullo di medio formato, di sei centimetri di larghezza, che dava risultati migliori per stampe di maggiori dimensioni. Divennero anche popolari le macchine reflex a doppio obiettivo (1929), queste macchine utilizzavano pellicole in nitrato prodotte in fogli (4 x 5 pollici) terminando la necessità di portarsi dietro le scomode lastre di vetro fragili.

Altro elemento di svolta fu l’esigenza dei fotografi di “inquadrare” esattamente ciò che volevano. Infatti fino ad allora le macchine non erano dotate di un mirino, e costringevano a dirigere in modo più o meno corretto l’obiettivo verso il soggetto solo con la sensibilità del fotografo.

Dapprima l’idea fu di introdurre un secondo obiettivo specifico per inquadrare e successivamente negli Stati Uniti venne introdotto un sistema a pentaprisma (Graflex – 1903 - qui l’immagine della pubblicità su American Ornitology), che utilizzando un unico obiettivo sia per l’inquadratura sia per la ripresa rappresenta la prima reflex prodotta.

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Pubblicità della Graflex su American Ornitology Graflex (1903)

  

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Leica I (1913) 

Nel 1911 Oskar Barnack, ingegnere della Leitz (arrivato dalla Zeiss), ebbe l'idea di utilizzare il formato 24x36, comunemente chiamato “35mm” (anche "formato Leica"), che fece fare un ulteriore salto alla diffusione della fotografia, in quanto consentiva da un lato di produrre fotocamere più trasportabili e meno ingombranti, dall’altro un buon compromesso con la qualità, dati gli ormai buoni risultati dei supporti sensibili.

Nel 1913 viene presentata una macchina allora rivoluzionaria, la Leica, tascabile, di formato 35 millimetri di estrema maneggevolezza. 

La Leica I pesava solo 350 g, era di grande compattezza, un obiettivo 50 mm fisso, con la leva dell'avanzamento della pellicola che contemporaneamente caricava l'otturatore, e la possibilità di inserire un telemetro nella slitta.

Per la prima volta si poteva fotografare a mano libera.

 

La migliore compattezza fece diffondere il reportage giornalistico, per il quale la fotografia diventò elemento imprescindibile e fondamentale, qui di seguito alcune foto della Prima Guerra Mondiale.

 

Tutte le nazioni partecipanti avevano dei fotografi addirittura nei propri ranghi, ad esempio per l'Italia era assegnata una attrezzatura ufficiale formato 24x36 ed una 13x18, ma anche dei civili si cimentarono in fotografie del conflitto, come Luca Comerio (Nato a Milano nel 1878), il "fotografo del Re", che arrivava dalla fotografia artistica e si dedicò al fotoreportage per riprendere le immagini della guerra, anche autore di filmati sulla guerra.

 

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Foto di Luca Comerio - Soldati davanti al Duomo di Milano Foto di Luca Comerio - Fanti al fronte

Dopo la disfatta di Caporetto nel 1917 viene costituita la Sezione Cinematografica del Regio Esercito che assume il monopolio delle riprese (non venne affidata alcun incarico a Luca Comerio in quanto civile). 

Altri fotografi civili, appartenenti per lo più a testate giornalistiche, si unirono in forma autonoma ai ranghi militari, fra loro Arnaldo Fraccaroli del Corriere della Sera, Aldo Molinari dell’Illustrazione Italiana ed altri ancora.

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Soldati in trincea Fronte austriaco

La Gran Bretagna aveva anch'essa organizzato una squadra di fotografi, fra cui i primi assegnati dal 1916 al fronte occidentale furono Ernest Brooks e John Warwick Brooke, a quest'ultimo da solo sono state attribuite oltre 4.000 immagini. 

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Ernest Brook - Silhouette di soldati - battaglia di Broodseinde

Assieme ai fotografi ufficiali dell'esercito, assieme ai soldati inglesi erano associati i reporter delle maggiori testate giornalistiche, come il Daily Mirror, in particolare sono da segnalare David MCLellan e Tom Aitken.

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John William Brook - da War Illustrated John William Brook - Trincea con maschere antigas

 

In Francia il Ministero degli Esteri e della Pubblica Istruzione e Belle Arti, nella primavera 1915 istituisce la sezione fotografica dell'esercito (SPA).
Questa aveva il compito di riportare immagini della guerra su diversi fronti, ma anche di contrastare la propaganda tedesca nei paesi neutrali. Ci furono diverse candidature spontanee ed alcune vantano credenziali indiscutibili come Passet, ex fotografo di Albert Kahn e Gabriel Gaudilliere giornalista per il quotidiano Le Matin.
Di particolare rilevanza è stato Frantz Adam (1861-1968), psichiatra francese noto per avere fotografato la guerra di trincea.

 

In Germania il reportage fotografico di guerra era organizzato in modo estremo, solo i fotografi autorizzati dal regime erano autorizzati a effettuare fotografie, erano riconoscibili a vista per una carta di identità con foto e una fascia sulla fronte. Importante era anche il ruolo della censura, che passava il materiale alla stampa solo dopo visione delle immagini, molte volte propagandistiche dell'arma tedesca, come armi pesanti o aerei, ma soprattutto i morti 

dell'esercito tedesco.
Interessante da parte della Germania è stato addirittura l'uso di piccioni come fotografi spia, gli animali erano corredati di una pettorina con una fotocamera automatica che riprendeva le zone della battaglia dall'alto.

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Piccione Spia - esercito Tedesco (1915)